IL TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE: DIRITTI E TUTELE
Il trasferimento del lavoratore rappresenta un provvedimento di particolare rilevanza poiché incide in maniera significativa sull’organizzazione della vita personale e familiare.
Si tratta dello spostamento definitivo della sede di lavoro ad un’altra unità produttiva o ad un’altra località che il datore non può disporre in modo arbitrario.
Vediamo quali sono le tipologie di trasferimento, i limiti previsti dalla legge, quando il lavoratore può rifiutare il trasferimento e quali strumenti di tutela può utilizzare.
TIPOLOGIE DI TRASFERIMENTO
Il trasferimento comporta la modifica definitiva del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, inteso non in senso meramente geografico, bensì come riferimento al sistema organizzativo dell’impresa.
Il trasferimento di uno o più lavoratori costituisce espressione del potere unilaterale attribuito al datore di lavoro dall’art. 2103 c.c., esercitabile esclusivamente per comprovate esigenze organizzative e produttive.
A seconda dei soggetti coinvolti, può assumere forme diverse:
- Il trasferimento individuale: riguarda un singolo dipendente ed è disposto unilateralmente dal datore.
- Il trasferimento collettivo: interessa più lavoratori, considerati quali componenti di una unità produttiva, e in genere è regolato da accordi sindacali.
TRASFERIMENTO INDIVIDUALE
Il trasferimento individuale del lavoratore, come è facile intuire, riguarda un singolo lavoratore ed è disposto unilateralmente dal datore di lavoro.
Ai sensi dell’art. 2103 c.c., il trasferimento è legittimo solo se giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive.
Il datore deve quindi dimostrare la necessità dello spostamento e non può disporlo in modo arbitrario o ritorsivo, per tale motivo, al lavoratore deve essere comunicata la nuova sede di destinazione, con un preavviso congruo.
In caso di contestazione da parte del dipendente, spetta al datore di lavoro l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle ragioni che hanno reso necessario il trasferimento del lavoratore.
Inoltre, alcuni contratti collettivi prevedono tutele aggiuntive, quali il riconoscimento di una indennità di trasferimento in favore del lavoratore o l’adozione di criteri che individuano delle priorità nella scelta del dipendente da trasferire.
TRASFERIMENTO COLLETTIVO
Il trasferimento collettivo si verifica quando lo spostamento di sede riguarda contemporaneamente un numero significativo di lavoratori.
A differenza del trasferimento individuale, che è deciso unilateralmente dal datore di lavoro, quello collettivo viene generalmente disciplinato attraverso accordi con le organizzazioni sindacali, al fine di garantire un equilibrio tra le esigenze organizzative dell’impresa e la tutela dei lavoratori coinvolti.
Può verificarsi, ad esempio, in caso di:
- riorganizzazione aziendale (accorpamento o soppressione di reparti o sedi);
- delocalizzazione o trasferimento di attività produttive;
- apertura di nuove sedi con conseguente redistribuzione del personale.
In questi casi il confronto con i sindacati ha l’obiettivo di stabilire:
- i criteri di scelta dei lavoratori da trasferire;
- eventuali misure di sostegno (indennità, rimborsi, facilitazioni);
- la tutela di particolari categorie di dipendenti (es. lavoratori con gravi esigenze familiari).
TRASFERIMENTO E TRASFERTA
Ciò che distingue il trasferimento del lavoratore dalla trasferta è l’elemento temporale, con il trasferimento la sede di lavoro cambia definitivamente, con la trasferta lo spostamento è provvisorio, con diritto al rimborso delle spese sostenute.
Nella trasferta il legame abituale con la sede di lavoro rimane invariato: essa ha carattere temporaneo e una durata predeterminata.
La decisione del datore di lavoro è discrezionale, non richiede particolari requisiti di forma nella comunicazione e non necessita del consenso del lavoratore.
FONDAMENTO GIURIDICO DEL TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE
Il trasferimento del lavoratore trova il proprio fondamento nell’art. 2103 c.c., il quale, all’ottavo comma, ne consente la legittimità solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive.
A tale disciplina si affiancano le previsioni dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), che dettano regole specifiche in ordine ai tempi di preavviso, ai criteri di scelta e alle modalità di comunicazione.
Infine, la giurisprudenza ha costantemente chiarito che il trasferimento può dirsi legittimo soltanto se sorretto da effettive esigenze aziendali, escludendone l’ammissibilità quando fondato su motivazioni pretestuose o generiche.
CONDIZIONI DI legittimità E LIMITI
Perché un trasferimento di sede possa considerarsi legittimo, il datore di lavoro deve rispettare una serie di condizioni volte a tutelare l’interesse del lavoratore e ad assicurare la correttezza del provvedimento.
In particolare:
- deve sussistere un motivo reale e documentabile, legato a effettive esigenze organizzative o produttive dell’azienda. Il trasferimento del lavoratore non può essere disposto per ragioni arbitrarie o punitive;
- il lavoratore deve ricevere una comunicazione scritta, nella quale siano chiaramente indicate le ragioni che rendono necessario lo spostamento di sede;
- è necessario un preavviso adeguato, così da consentire al lavoratore di organizzarsi e affrontare il cambiamento, soprattutto quando il trasferimento comporta un rilevante impatto sulla vita personale o familiare;
- il datore di lavoro deve infine tenere conto delle condizioni individuali del lavoratore, considerando eventuali esigenze familiari, di salute o di assistenza a persone conviventi.
In assenza di tali requisiti, il provvedimento può essere impugnato.
A questi presupposti si affiancano inoltre specifici limiti previsti dalla legge: a titolo esemplificativo, non possono essere trasferite le lavoratrici madri di figli di età inferiore a un anno, né i lavoratori portatori di handicap, salvo che le nuove mansioni risultino compatibili con quelle già svolte.
TRASFERIMENTO DISCIPLINARE
Tra i trasferimenti illegittimi merita un cenno il particolare caso del trasferimento disciplinare.
Ai sensi dell’art. 7, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori, tale misura è espressamente vietata ed è quindi nulla, salvo che il codice disciplinare la contempli espressamente e vi sia un accordo con le organizzazioni sindacali.
Non rientra, invece, tra i trasferimenti disciplinari il c.d. trasferimento per incompatibilità ambientale: in questa ipotesi il provvedimento non ha finalità punitive, ma è volto a risolvere disfunzioni interne all’unità produttiva.
Per tale ragione, esso va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive previste dall’art. 2103 c.c.
IL RIFIUTO DEL LAVORATORE
Il lavoratore ha la facoltà di rifiutare il trasferimento qualora esso risulti sproporzionato, arbitrario o comunque contrario alla normativa vigente e ai principi elaborati dalla giurisprudenza.
In tali casi, il rifiuto deve essere espresso in forma scritta, con indicazione puntuale delle ragioni e con l’allegazione di eventuale documentazione a supporto (ad esempio certificati medici, attestazioni relative a particolari carichi familiari o altre situazioni personali che rendano il trasferimento non sostenibile).
Il rifiuto ingiustificato, al contrario, espone il lavoratore a possibili conseguenze disciplinari, fino a comprendere il licenziamento per insubordinazione.
Spetta pertanto al dipendente dimostrare l’illegittimità o l’irragionevolezza del trasferimento, anche attraverso l’impugnazione giudiziale del provvedimento entro i termini di legge.
IL TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE E IL DIRITTO ALLA NASPI
Il trasferimento del lavoratore può avere effetti anche sul diritto a percepire l’indennità di disoccupazione (NASpI).
A seguito della comunicazione di trasferimento, il lavoratore può decidere se accettare o rifiutare la nuova sede di lavoro.
Le conseguenze variano a seconda della scelta (o del comportamento) del dipendente:
MANCATA PRESENTAZIONE SENZA COMUNICARE IL RIFIUTO
Se il lavoratore non si presenta presso la nuova sede senza aver comunicato il proprio rifiuto, il datore di lavoro, trascorsi 15 giorni consecutivi di assenza ingiustificata, ai sensi dell’art. 19 della Legge n. 203/2024, potrà dichiarare risolto il rapporto per dimissioni desumibili dal comportamento del lavoratore.
In questo caso, il dipendente non avrà diritto all’indennità di disoccupazione (NASpI), poiché la cessazione non sarà qualificata come licenziamento, ma come dimissione volontaria.
RIFIUTO ESPRESSO DEL TRASFERIMENTO
Qualora il lavoratore comunichi il proprio rifiuto, il datore di lavoro, se lo ritiene ingiustificato, potrà qualificare la condotta come insubordinazione e procedere al licenziamento.
Il dipendente, a sua volta, potrà impugnare il provvedimento espulsivo in sede giudiziale e presentare domanda di NASpI.
Per un approfondimento sui diversi tipi di licenziamento, si veda l’articolo dedicato Quanti tipi di licenziamento esistono nel nostro ordinamento?
DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA
Se il trasferimento risulta eccessivamente gravoso o tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto, il lavoratore può rassegnare le dimissioni per giusta causa, conservando il diritto alla NASpI.
La giurisprudenza di legittimità riconosce, tra le altre, come giusta causa del recesso dal rapporto di lavoro le dimissioni derivanti da trasferimento illegittimo.
Resta ferma la possibilità per il datore di lavoro di contestare la sussistenza della giusta causa, con conseguente sospensione o revoca della NASpI da parte dell’INPS fino all’accertamento giudiziale definitivo.
UN CASO PRATICO DI TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE ILLEGITTIMO
Si è rivolta al nostro Studio una lavoratrice riportando quanto accadutole.
La società datrice di lavoro, titolare di numerose sedi sia nella regione di residenza della dipendente, sia nelle regioni limitrofe, le ha comunicato il trasferimento presso una sede situata fuori regione, a notevole distanza dalla sua abitazione, con conseguenze particolarmente gravose per la lavoratrice.
La comunicazione aziendale, inviata esclusivamente a mezzo e-mail, si è limitata a indicare la nuova sede, senza fornire alcuna motivazione sui criteri adottati nella scelta della nuova sede e senza spiegare le esigenze organizzative poste a fondamento del provvedimento.
Dopo aver esposto alla lavoratrice i principi che regolano la materia, in particolare la necessità che il trasferimento sia giustificato da comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive e che venga disposto nel rispetto del principio di correttezza e buona fede, abbiamo evidenziato come il provvedimento risultasse viziato non solo per l’assoluta inadeguatezza del preavviso ma anche per la mancata valutazione di sedi aziendali più vicine e compatibili con la situazione personale e familiare della dipendente.
Alla luce di tali rilievi, il nostro Studio ha predisposto e inviato una formale diffida, con la quale la lavoratrice ha contestato la legittimità del trasferimento, chiedendone l’immediata revoca e sollecitando la riassegnazione a una sede territorialmente più adeguata, nel rispetto sia delle proprie esigenze familiari sia delle effettive necessità organizzative dell’impresa.
In seguito all’invio della nostra diffida, le parti hanno raggiunto un accordo.
SUGGERIMENTO PRATICO
Se ricevi una comunicazione di trasferimento improvviso e distante dalla tua residenza, non limitarti a una risposta verbale. Pretendi che vengano esplicitate per iscritto le motivazioni del provvedimento, verifica se esistono sedi aziendali più vicine e conserva tutta la documentazione.
Rivolgiti tempestivamente a un professionista di fiducia: solo un intervento rapido e ben fondato ti permetterà di far valere i tuoi diritti e di evitare conseguenze negative sul piano lavorativo e personale.
CONCLUSIONI
Rifiutare un trasferimento non è di per sé un comportamento illecito: la legittimità o meno di tale scelta dipende dalle motivazioni addotte dal datore di lavoro e dal rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Il lavoratore, in presenza di provvedimenti arbitrari o privi di un reale fondamento organizzativo, ha il pieno diritto di contestarli e di tutelarsi non solo con strumenti stragiudiziali, come la diffida, ma anche, se necessario, con ricorsi in sede giudiziaria.
La disciplina del trasferimento del lavoratore, infatti, mira a bilanciare due esigenze fondamentali: da un lato l’interesse dell’impresa ad organizzare in modo efficiente la propria attività; dall’altro il diritto del lavoratore a non subire spostamenti immotivati o pregiudizievoli per la propria vita familiare e sociale.
Proprio in quest’ottica si inserisce il diritto di rifiuto: esso non rappresenta una mera opposizione soggettiva, bensì una forma di autodifesa del lavoratore quando il provvedimento datoriale risulti irregolare, sproporzionato o contrario ai principi di correttezza e buona fede.
Il trasferimento del lavoratore diventa così terreno di equilibrio e di confronto tra potere organizzativo e diritti individuali: un ambito in cui la giurisprudenza ha un ruolo decisivo nel tracciare i confini della legittimità e nel garantire che il sacrificio imposto al lavoratore sia sempre giustificato da effettive e comprovate esigenze aziendali.
Avvocato Francesca Del Duca
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