Patto di stabilità contratto di lavoro: cos’è e cosa prevede

da | Giu 6, 2025 | News

PATTO DI STABILITÀ CONTRATTO DI LAVORO

Il patto di stabilità rappresenta una delle tecniche utilizzate dal datore di lavoro per fidelizzare il proprio dipendente.

Gli strumenti di fidelizzazione previsti dal legislatore e dalla prassi sono:

  • il patto di stabilità;
  • il patto di non concorrenza (il tema è stato affrontato di recente nell’articolo del nostro blog Patto di non concorrenza: in che cosa consiste?);
  • il divieto di storno;
  • il patto di prolungamento del preavviso.

COS’È IL PATTO DI STABILITÀ?

Il patto di stabilità è un accordo atipico, in quanto non espressamente disciplinato dal codice civile, in cui il datore di lavoro, il dipendente o entrambe le parti si impegnano a non recedere dal contratto per un periodo di tempo determinato.

Non vi è alcun ostacolo affinché l’impegno sia assunto esclusivamente dal datore di lavoro o solo dal lavoratore. Tale possibilità è infatti ampiamente accettata nella prassi.

LA DURATA

Per quanto riguarda la durata del patto di stabilità, non esiste una normativa specifica che ne disciplini i limiti, e la giurisprudenza non ha ancora espresso un orientamento consolidato in merito.

La dottrina, invece, rinvia al concetto di durata del contratto a termine, suggerendo una durata massima di 3 anni per impiegati, operai e quadri, e di 5 anni per i dirigenti.

È possibile prevedere una durata superiore?

Partendo dal presupposto che non esiste una norma specifica che disciplina la durata del patto si può ipotizzare che le parti concordino un termine più lungo. In ogni caso, il termine deve essere certo, determinato e il patto dovrà quantificare un corrispettivo congruo e proporzionato alla limitazione subita dal dipendente.

IL PATTO DI STABILITÀ A TITOLO ONEROSO O A TITOLO GRATUITO

La giurisprudenza ha stabilito che il patto di stabilità può essere stipulato a titolo gratuito quando entrambe le parti sono vincolate a rispettarlo, mentre ritiene opportuno prevedere un corrispettivo nel caso in cui l’unico obbligato al rispetto del patto sia il dipendente.

IL RECESSO ANTICIPATO DAL PATTO DI STABILITÀ

Il patto di stabilità, una volta sottoscritto dalle parti, resta valido ed efficace, salvo nei seguenti casi di recesso anticipato:

– per impossibilità sopravvenuta della prestazione;

– o per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile. Se il datore di lavoro o il lavoratore pone in essere delle condotte che configurano una giusta causa di risoluzione del rapporto, la stessa sorte seguirà il patto di stabilità.

CONSEGUENZE IN CASO DI RECESSO SENZA GIUSTA CAUSA

In caso di recesso anticipato senza giusta causa, la parte che recede potrebbe essere tenuta a risarcire l’altra parte per i danni derivanti dalla violazione del patto, inclusi eventuali danni economici legati alla formazione o ad altri investimenti.

La previsione di una penale

Ai sensi dell’art. 1382 del codice civile (effetti della clausola penale) le parti possono stabilire l momento della stipula del patto, che in caso di dimissioni anticipate, la parte che recede debba corrispondere una determinata somma di denaro a titolo di penale.

È frequente che la penale venga determinata in importi decrescenti parametrati alla durata del patto. Gli importi decrescenti della penale sono una pratica comune per garantire una proporzionalità tra il danno subito dalla parte non recedente e la durata del contratto. Infatti, con il proseguire dell’esecuzione dell’accordo, il danno derivante dal recesso anticipato tende a ridursi, giustificando così una diminuzione progressiva della somma dovuta a titolo di penale.

Conseguenze per il lavoratore

In sintesi, le conseguenze per il lavoratore, nel caso in cui il suo recesso sia privo di una giusta causa saranno:

  • se non è prevista una penale dovrà risarcire i danni subiti dal datore di lavoro commisurati ad esempio ad eventuali costi di formazione;
  • se è prevista una penale, l’importo indicato nella clausola sarà dovuto a prescindere dalla prova del danno subito dal datore di lavoro;
  • se è prevista una penale, il risarcimento del danno richiesto al lavoratore sarà limitato a quanto indicato nella clausola salvo sia stata espressamente prevista la risarcibilità del danno ulteriore;
  • la riduzione della penale può essere richiesta in sede giudiziale.

Conseguenze per il datore di lavoro

Per il datore di lavoro invece lo scenario è duplice:

  • dovrà risarcire al lavoratore una somma corrispondente alle retribuzioni che avrebbe dovuto percepire fino alla durata minima garantita dal patto;
  • nonché subire le sanzioni previste per i licenziamenti illegittimi.

Dopo aver affrontato il tema del patto di stabilità è opportuno, a mio parere, per completare il quadro degli strumenti per la fidelizzazione del lavoratore, fare un breve cenno sul divieto di storno e il patto di prolungamento del preavviso.

Il patto di non concorrenza come già detto in premessa è stato affrontato nell’articolo dedicato.

IL DIVIETO DI STORNO

Il divieto di storno prevede che dopo la risoluzione il dipendente, ormai ex dipendente, non possa sottrarre al precedente datore di lavoro clienti o lavoratori, collaboratori etc. a vantaggio del nuovo datore di lavoro.

La clausola produce il suo effetto alla cessazione del rapporto e limita delle attività ontologicamente lecite salvo che la condotta configuri una violazione del patto di non concorrenza.

Il rapporto tra le diverse forme di fidelizzazione diventa sempre più stringente e nella mia esperienza mi capita spesso di leggere patti di non concorrenza in cui i datori di lavoro inseriscono queste clausole per rendere ancora più stringente il vincolo.

IL PATTO DI PROLUNGAMENTO DEL PREAVVISO

Con il patto di prolungamento del preavviso il lavoratore si impegna a rispettare un termine di preavviso in deroga ai contratti collettivi, termine ovviamente più lungo.

Questo patto può ritenersi valido solo nel caso in cui la contrattazione collettiva applicata al contratto di assunzione ammetta questa possibilità e il lavoratore percepisca un corrispettivo.

PATTO DI STABILITÀ CONTRATTO DI LAVORO: UN CASO PRATICO

Un lavoratore si è rivolto al nostro studio, esponendo di aver ricevuto una proposta di assunzione a tempo indeterminato, con inquadramento Quadro, il contratto prevedeva al suo interno un patto di stabilità.

Il patto di stabilità in questione attribuiva al lavoratore l’impegno di non recedere volontariamente dal rapporto di lavoro per un periodo di 12 mesi, decorrenti dalla data di inizio della prestazione lavorativa, in considerazione della partecipazione a un percorso di formazione specialistica, finanziato dall’azienda.

Al termine del corso di formazione il dipendente avrebbe ottenuto una certificazione riconosciuta nel settore in cui opera la società e altamente richiesta, migliorando così la sua professionalità e contestualmente la spendibilità sul mercato del lavoro.

A fronte di tale impegno, la società prevedeva il pagamento di una somma a titolo di una tantum al termine del periodo di stabilità. Era prevista altresì una penale di importo elevato per il lavoratore nel caso in cui violando il patto, avesse interrotto il rapporto in assenza di una giusta causa.

Il lavoratore voleva valutare i rischi e l’incidenza dei limiti previsti dal patto. Con il nostro aiuto ha potuto constatare che l’importo della somma a titolo di una tantum e il titolo acquisibile dallo stesso al termine del corso di formazione, costituivano dei vantaggi maggiori rispetto al vincolo imposto per un anno dal patto di stabilità.

SUGGERIMENTO PRATICO

Quando il datore di lavoro propone delle clausole di questo tipo per fidelizzare la risorsa, il consiglio che dò al lavoratore è quello di rivolgersi al proprio legale di fiducia prima di sottoscrivere l’accordo.

Quest’ultimo potrà fornirvi un proprio parare preventivo ed esporvi nel dettaglio gli obblighi e i diritti derivanti dalla sottoscrizione.

Avvocato Francesca Del Duca

 

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